Gallina chiarisce:
un robot ha bisogno di ricevere input sotto forma di sequenze di coordinate di punti. Ma la maggior parte dei software commerciali che elaborano grafica non “ragionano” in termini di “curve”, bensì operano a livello di pixel, o aree di pixel. (…) un “filtro imitativo” (…) introduce un effetto [simulato], frutto di un’elaborazione grafica dell’immagine originale. Per raggiungere l’obiettivo, l’algoritmo valuta [per esempio] il nuovo colore da assegnare ad ogni pixel in funzione dei colori dei pixel che lo circondano; l’output del filtro è una matrice di intensità di colori. Nella pratica, una porzione dell’immagine genera un’altra porzione dell’immagine modificata. Tali dati non sono utilizzabili da un robot. Le macchine che “imbracciano un pennello” non ragionano per insieme di pixel. (…) [Analogamente a un] navigatore satellitare, il robot, per dipingere, ha bisogno di informazioni inerenti le direzioni di avanzamento, non di mappe di pixel. Ecco perché non tutti gli algoritmi generativi forniscono dati utili al processo robotizzato. La sintassi base è data da linee e segmenti: i mattoncini base del movimento di qualsiasi robot (P. Gallina, “La protoarte dei robot. Quando l’arte, la robotica e l’intelligenza artificiale si intrecciano”)