Delfanti sintetizza e chiarisce:
Ad Amazon, la catena di montaggio è stata sostituita dall’organizzazione algoritmica del processo lavorativo, ma entrambe vengono utilizzate per standardizzare le mansioni e i processi e comprimere i tempi richiesti per la formazione della manodopera. Robot e software intensificano il ritmo di lavoro, e così facendo, invece di facilitarlo, lo rendono più faticoso. Come in una fabbrica, la forza lavoro va convinta e motivata, e a questo scopo Amazon si affida a un ambiente dispotico e paternalista. Il management, però, può contare sull’ausilio della sorveglianza digitale per monitorare il lavoro e controllare la produttività dei dipendenti, e su tecniche organizzative fondate sul mito del progresso offerto dall’azienda. L’orologio è stato rimpiazzato dall’algoritmo, ma la manodopera deve tuttora adattarsi ai ritmi di lavoro imposti dalle macchine. Come nel primo capitalismo industriale, Amazon si affida a una forza lavoro estremamente precarizzata che può essere assunta e licenziata a piacimento, e a volte deve persino essere caricata su un autobus. Però ne pianifica l’obsolescenza con molta attenzione, in quanto incoraggia (o meglio, costringe) i dipendenti a lasciare il magazzino in cicli sempre più rapidi. Nei suoi progetti per il futuro, il colosso di Seattle immagina e desidera un luogo di lavoro dove queste dinamiche siano pienamente realizzate, e la forza lavoro umana ancora più subordinata alle macchine. (…) Si tratta di una vecchia tensione che riaffiora in forme nuove. Chi lavora nel magazzino chiede cambiamenti di natura politica: una riduzione della flessibilità e dei ritmi di produzione, un luogo di lavoro equo, sano e sicuro, e una ridistribuzione degli immensi profitti accumulati da Amazon. L’azienda dal canto suo risponde con soluzioni tecnologiche: dalle applicazioni per il wellness alle telecamere per il distanziamento fisico basate sull’intelligenza artificiale, fino alle tecniche antisindacali per ostacolare l’organizzazione collettiva di lavoratori e lavoratrici. La retorica della tecnologia come opportunità di cambiamento radicale e il mito del potenziale dirompente del capitalismo digitale nascondono il fatto che trasformare il luogo di lavoro sia un processo squisitamente politico. Nessuno dei fenomeni che caratterizzano Amazon sarebbe stato possibile senza decenni di precarizzazione, riduzione del potere contrattuale dei lavoratori, espansione dei processi di globalizzazione e ascesa del mercato finanziario, cioè l’insieme di conditio sine qua non del capitalismo digitale. (…) La tecnologia di Amazon non varrebbe nulla senza il potere economico e politico dell’azienda, e senza il suo irrefrenabile impulso ad accumulare capitale. (…) Per garantire consegne sempre più rapide, Amazon deve avvalersi della tecnologia per aumentare la produttività della manodopera (il che significa di fatto aumentarne il ritmo produttivo), trasformare le merci in informazioni affinché possano essere gestite dai software, standardizzare le mansioni affinché ogni dipendente possa eseguirle senza intoppi, facilitare il turnover del personale nell’eventualità di una flessione nella produzione, e infine controllare rigidamente i dipendenti limitandone l’autonomia decisionale e conferendo più potere al management. (A. Delfanti, “Il magazzino. Lavoro e macchine ad Amazon”)