Pelle Ehn, con lucidità e capacità analitica, coniò il concetto di utensilità, che si pone agli antipodi della disruption tecno-capitalista, argomentando che
(…) i manufatti informatici
• sono utensili propriamente detti nel senso generale di essere progettati come mezzi per uno scopo,
• utensili propriamente detti che a un livello più concreto sono macchine, nel senso che una volta avviate eseguono un’azione automatica, e differiscono in questo dai semplici utensili manuali, ma tali che
• queste macchine possono venire progettate metaforicamente come promemoria di tradizionali utensili artigianali per una specifica arte o professione, così come possono venire progettate metaforicamente come nuovi mezzi di comunicazione, utilizzando apparati hardware interattivi e la capacità di manipolazione segnica per creare questi promemoria, ma tali che
. esiste anche un uso ideologico della metafora dell’utensile che suggerisce che controlliamo lo sviluppo dell’uso sociale, politico e tecnico di questa tecnologia, là dove in pratica siamo più alienati che mai, e che questo uso ideologico della metafora del “calcolatore è soltanto un utensile” può (…) avere a che fare con il fatto
• che nell’industria di oggi i manufatti informatici sono più spesso progettati come macchine, nel senso che escludono dal controllo gli utenti e automatizzano le capacità.
(…) [Sono molti] i problemi di una prospettiva utensile. Una prospettiva utensile per la progettazione di utensili computerizzati per migliorare le capacità può inintenzionalmente creare una cecità, sia nei confronti di altri ideali di progettazione come quello dei mezzi di comunicazione interattivi, sia nei confronti dell’uso ideologico della metafora dell’utensile come una cortina fumogena per quello che davvero accade, e non solo nella nostra vita lavorativa. Quando anche
si dica questo, tuttavia, io continuo a ritenere l’ideale dell utensile artigianale dellap prospettiva utensile un caso paradigmatico di estrema utilità per la progettazione di manufatti informatici [orientati all’emancipazione, intesa come ampliamento qualitativo, estensione quantitativa e prolungamento nel tempo delle capacità umane]. (…)
La Apple Corporation impostò sul mercato lo standard per le stazioni di lavoro su piccoli calcolatori quando introdusse il Macintosh nel 1984. Il software/hardware di tipo utensile, basato sul “mouse”, sulla “metafora del banco di lavoro”, su icone e “finestre” su uno schermo grafico, dilagò improvvisamente dalle università e dai laboratori di ricerca a letteralmente milioni di utenti.
Non si trattava in nessun modo del primo manufatto informatico di tipo utensile, e nemmeno del più potente. Ma fu unico nel creare un varco commerciale, dopo più di venti anni di idee e sforzi da parte di progettisti visionari.
Nel creare la “utensilità” del Macintosh, la Apple riconobbe l’importanza dello sviluppo di hardware e software centrato sulla “interfaccia utente” dei manufatti informatici. E questo rappresentò un cambiamento nella progettazione. Secondo le parole di Alan Kay, uno dei progettisti visionari di manufatti informatici come utensili:
“Un tempo l’interfaccia utente era l’ultima parte del sistema a essere progettata. Oggi è la prima. Ci si è resi conto che essa è di primaria importanza perché, tanto per i principianti quanto per i professionisti ciò che si presenta ai sensi di una persona è il calcolatore di quella persona”.
Per progettare interfacce utente di tipo utensile dobbiamo capire sia il software che l’hardware. L’interfaccia utente è una combinazione di hardware e software di cui l’utente fa esperienza durante l’uso. (…) nel progettare interfacce utente dovremmo avere presenti gli aspetti fisici che impongono condizioni alla manipolazione fisica del manufatto, gli aspetti manipolativi che comportano condizioni per manovrare e controllare il manufatto, e gli aspetti diretti al soggetto/oggetto, che costituiscono le condizioni per le attività su “oggetti” o con “altri” tramite il manufatto. Gli aspetti diretti al soggetto/oggetto sono in relazione sia con gli aspetti fisici che con quelli manipolativi, e sono in relazione anche con la funzionalità desiderata. Quello che fondamentalmente interessa nella progettazione di interfacce utente è in quale modo il manufatto produca miglioramenti, e sia trasparente, nelle attività umane dirette verso il soggetto/oggetto. Oltre a questo, siamo interessati anche agli aspetti estetici ed ergonomici dell’interfaccia utente
Tutti questi aspetti sono rilevanti per l’utensilità dei manufatti informatici. Il manufatto mette davvero l’utente in grado di impegnarsi pienamente nel compito che sta eseguendo, richiedendogli del manufatto stesso solamente consapevolezza sussidiaria? La manipolazione o il controllo del manufatto fratturano questo coinvolgimento – questo esser gettato? La progettazione fisica degli apparati di input/output permette la funzionalità, l’ergonomia, e l’estetica in maniera tale da prevenire uno spostamento di consapevolezza dal coinvolgimento nel compito verso il manufatto stesso?
Gli sviluppi principali nello hardware e nel software che sotto questi aspetti hanno modificato l’utensilità dei manufatti informatici hanno a che fare con la tecnologia delle stazioni di lavoro grafiche, compresi i nuovi apparati di interazione. (…)
Utensili computerizzati – lo stato dell’arte
La stazione di lavoro
Dal punto di vista dell’utente le caratteristiche hardware principali delle contemporanee stazioni di lavoro computerizzate sono l’unità video e gli apparati d input. Il tradizionale terminale da calcolatore ha subito un considerevole migliora mento d’aspetto.
L’interazione con una stazione di lavoro computerizzata non è più limitata alla lettura di caratteri fissi sullo schermo e alla scrittura del testo attraverso una tastiera. Gli schermi a mappa di bit con grafica ad alta risoluzione in combinazione con nuovi apparati di interazione, come il mouse, hanno aperto la strada a stili di progettazione completamente nuovi, spesso denominati manipolazione immediata .I mezzi utilizzati a questo scopo sono le finestre (quadri che l’utente può dimensionare e muovere sullo schermo, e all’interno dei quali, o “attraverso” i quali, l’utente può manipolare o “visionare” oggetti e azioni), menù (da cui selezionare oggetti e azioni), e icone (che “ritraggono” l’oggetto o l’azione che intendono rammentare).
Queste conquiste tecniche possono contribuire all’utensilità dei manufatti informatici, rendendo più trasparente il manufatto e facendo sì che l’utente focalizzi la propria consapevolezza sul compito, possono contribuire all’estetica dell’utilizzo di manufatti informatici e anche all’ergonomia dell’uso. Ma esistono anche contraddizioni, come tra la aumentata funzionalità di uno schermo più grande contrapposta al minore sforzo oculare e alla radiazione forse minore che si avrebbe con uno schermo più piccolo. E non vi è naturalmente alcuna garanzia che una buona interfaccia utente corrisponda a prodotti meglio progettati da un punto di vista estetico. I molti prodotti grafici disgraziati del desktop publishing ne presentano un’evidenza sufficiente. Le discussioni su questi tipi di pro e contro della tecnologia delle stazioni di lavoro sono stati importanti nella nostra progettazione di utensili computerizzati per lìimpaginazione e per l’elaborazione di immagini nel progetto Utopia.
Nonostante questo, e sebbene ci sia stato ultimamente uno sviluppo drastico degli apparati di interazione dei manufatti informatici, molte possibilità rimangoni inesplorate. In There ’s More to Interaction Than Meets the Eye, William Buxton ci porta a immaginare un’epoca lontana nel futuro in cui un antropologo trovi scavando un magazzino di calcolatori dei nostri giorni perfettamente fornito coi tutto lo hardware e il software perfettamente funzionante. Buxton ipotizza che It conclusioni dell’antropologo sarebbero che noi avevamo:
“un occhio ben sviluppato, un lungo braccio destro, un piccolo braccio sinistro dita di lunghezza uniforme e un orecchio “a bassa fedeltà”. Ma la caratteristica dominante sarebbe la previa del nostro sistema visivo sulla nostra poveramente sviluppata destrezza manuale“.
Quello su cui Buxton porta la nostra attenzione è, oltre al mostrare quale piccolo uso si faccia dei nostri sensi nella progettazione di interfacce utente di manufatti informatici, che nel cucire, nel guidare un auto o nel suonare un organo troviamo naturale utilizzare i nostri piedi. Perché non succede lo stesso nella progettazione di utensili computerizzati? E perché non ci sono apparati di interazione per entrambe le mani? Immaginate di dover chiudere la doccia ogni volta che volete regolare la temperatura dell’acqua! Questo è l’utilizzo a mano unica per cui sono progettati la maggior parte dei manufatti informatici.
Buxton fornisce esempi di miglioramenti facendo uso di apparati di interazione già esistenti, ma la cosa per lui fondamentale è che:
“il controllo dell’input è così complesso che è improbabile che riusciremo mai a comprenderlo completamente. Indipendentemente dalla validità delle nostre teorie, avremo probabilmente sempre la necessità di mettere alla prova i progetti con l’implementazione di fatto e il prototyping. La conseguenza per il progettista è che gli utensili da prototyping (software e hardware) devono venire sviluppati e considerati come parte dell’ambiente di base”.
Questa raccomandazione si sposa bene con le nostre esperienze Utopiache di progettazione di utensili computerizzati, e con la strategia di progettazione basata sulle capacità che si sta sostenendo in questo libro.
Dalle visioni sulla progettazione alla realtà tecnica
Veniamo ora ad alcune visioni sulla progettazione che hanno contribuito all’utensilità dei manufatti informatici. Vale la pena di menzionare gli esempi storici per numerose ragioni. Una ragione è il tempo che ci può volere per realizzare tecnicamente buone idee di progettazione. Un’altra è il modo creativo di pensare che ha guidato alcune di queste progettazioni “profetiche”.
Il riferimento forse più antico è quello al “memex” di Vannevar Bush del 1945. L’apparato “memex” da lui immaginato trasformava il proprio banco di lavoro in utensili per il facile accesso, la facile annotazione, e la facile elaborazione di ogni informazione registrata nel mondo. Il concetto comprendeva le idee di stazioni di lavoro personali, indicizzazione associativa, finestre, processi a database, e così via. Non si trattava soltanto di idee che riguardavano l’ambiente degli utensili personali, ma anche la cooperazione con l’uso di ipertesti, per esempio condividendo percorsi registrati attraverso archivi di testi e di immagini
All’inizio degli anni Sessanta Douglas Engelbart sviluppò queste idee in un quadro dettagliato di come i manufatti informatici potevano venire progettati per migliorare l’intelletto umano. I suoi utensili migliorativi riguardavano fondamentalmente l’organizzazione delle idee e la produzione di testo (compresa la nozione di ipertesto). Engelbart ottenne aiuto per cercare di realizzare queste idee, e fu creato l’Augmentation Research Center presso lo Stanford Research Institute. Furono così sperimentati nuovi apparati di interazione come il joystick e la penna luminosa, e nacque il primo mouse. Lo sperimentale oN-Line System (Nls) fu progettato per fornire un completo “laboratorio di conoscenza” a un utente che scrivesse e curasse documenti, lanciasse programmi, e così via. All’utente erano fomiti utensili per la navigazione in uno “spazio dell’informazione”, e vi erano utensili sia per il lavoro personale che per quello cooperativo. Alla Fall Joint Computer Conference del 1968 furono presentati il sistema e i concetti di base. Producendo un’impressione ancora maggiore, Engelbart fece una dimostrazione del sistema al convegno con una stazione di lavoro computerizzata, utilizzando un mouse a tre pulsanti, e un insieme a cinque tasti come complemento alla tastiera tradizionale, il tutto con connessioni remote allo Augmentation Research Center presso Io Stanford Research Center. Un aspetto di particolare interesse per il nostro contesto è l’impegno di Engelbart verso gli utensili per il lavoro qualificato, cioè verso l’idea che il miglioramento è ciò che è fondamentale, non il criterio della facilità d’uso.
Un altro contributo antico e influente all’utensilità dei manufatti informatici è lo Sketchpad di Ivan Sutherland, idee per un programma di progettazione grafica del 1962. L’utente doveva interagire utilizzando una penna luminosa per aggiungere, muovere e cancellare parti dei disegni direttamente sullo schermo. Lo schermo veniva visto metaforicamente come “fogli di carta”. Le immagini erano composte da tipi primitivi di immagini come punti, segmenti di linea, e archi di circonferenza, così come da immagini definite dall’utente. L’utente poteva copiare queste definizioni di immagini, e modificare poi la copia per creare un’immagine nuova. Una definizione d’immagine poteva anche essere usata come un master per produrre un numero qualsiasi di esemplari. Se il master veniva modificato, ciascun esemplare sarebbe cambiato in maniera corrispondente. Il lavoro di Sutherland ha aiutato a creare molte idee di interfacce grafiche favorendo l’utensilità dei manufatti informatici, idee che soltanto oggi sono in corso di esplorazione approfondita.
Una lista di contributi storici all’utensilità dell’interfaccia dei manufatti informatici sarebbe assolutamente incompleta se non si facesse riferimento ai ricercatori e progettisti dello Xerox Palo Alto Research Center (Pare). All’inizio degli anni Settanta, Alan Kay diede inizio al Leaming Research Group per realizzare idee di progettazione tratte dalla sua tesi di Phd, The Reactive Engine, il motore reattivo. L’ideale di progettazione per il Leaming Research Group fu il Dynabook — un mezzo di comunicazione personale della dimensione di un blocco note attraverso il quale chiunque potesse gestire virtualmente tutte le proprie necessità relative all’informazione. L’idea veniva descritta così:
“Immaginate di tenere il vostro manipolatore autocontenuto di conoscenza in una scatoletta portatile della forma di un normale blocco note. Supponete che disponga di potenza sufficiente da superare i vostri sensi della vista e dell’udito, sufficiente capacità di registrare per la successiva ricerca l’equivalente di migliaia di pagine di materiali di riferimento, poesie, lettere, ricette, dischi, disegni, animazioni, partiture musicali, forme d’onda, simulazioni dinamiche, e qualsiasi altra cosa che possiate aver voglia di ricordare e di modificare. Prevediamo un apparecchio il più piccolo e portatile possibile, che possa sia ricevere che fornire informazione in quantità paragonabili a quella dei sistemi sensori umani. L’output visivo dovrebbe essere, per lo meno, di una qualità più alta di quella che si può ottenere dalla stampa dei giornali. L’output auditivo dovrebbe compararsi agli standard dell’alta fedeltà. Non ci dovrebbe essere nessuna pausa discriminabile tra causa ed effetto. Una delle metafore di cui abbiamo fatto uso nel progettare un sistema di questo genere è stata quello di uno strumento musicale, come un flauto, di proprietà del proprio utente e che risponde immediatamente e armonicamente ai desideri del suo proprietario. Immaginate l’assurdità dell’attesa di un secondo tra il soffiare per una nota e l’udirla“.
L’influenza di queste idee sulla ricerca e sulla progettazione allo Xerox Parc così come sullo sviluppo del concetto di stazione di lavoro e sulla progettazione di fatto in generale è stata immensa.
L’interfaccia utente del “Dynabooks provvisorio” progettata dal Leaming Research Group era molto simile, dal punto di vista dell’utente, alle stazioni di lavoro di oggi – un schermo a mappa di bit ad alta risoluzione, mouse, finestre, menù emergenti, memoria locale su disco, e così via. Aveva utensili di programmazione e di risoluzione dei problemi, un elaboratore di testi, utensili per disegnare, dipingere e animare le immagini, per generare musica, e così via.
Il primo prototipo di questo “Dynabooks provvisorio” fu l’ambiente di programmazione Smalltalk. L’interfaccia utente di questo linguaggio di programmazione venne sviluppata in seguito allo Xerox Parc in uno dei più potenti insiemi di utensili per programmatori mai sviluppato sino a oggi.
Altri importanti sforzi compiuti dallo Xerox Parc sono stati nella direzione dello sviluppo della stazione di lavoro sperimentale Alto e nell’implementazione (basata su queste esperienze di prototyping) del sistema da ufficio Star – un sistema di stazioni di lavoro e periferiche come stampanti laser collegate in rete locale. L’uso di icone, finestre e della metafora del banco di lavoro in un modello d’uso coerente, così come l’uso del principio “quello che vedi è quello che ottieni” nella progettazione della interfaccia utente lo rende uno dei sistemi da ufficio più di tipo utensile che siano stati creati sino a ora. E i princìpi di progettazione che gli stanno dietro sono lontani dall’essere sorpassati.
Le idee sull’utensilità dei manufatti informatici circolano ormai da un certo periodo di tempo, ma la loro implementazione e ulteriore esplorazione è appena iniziata. Questo è vero in modo particolare quando si passa alle visioni di utensili per il lavoro cooperativo. In ogni caso le possibilità tecniche dovrebbero essere grandi, non da ultimo perché le capacità delle macchine da molti milioni di dollari richieste alla fine degli anni Sessanta sono ora disponibili per poche migliaia.
Pelle colloca tra gli esempi prototipicidi utensili computerizzati dell’epoca in cui scrive:
- Utensili per tipografia e progettazione grafica;
- Utensili da “banco di lavoro”, secondo la logica dell’analogia con il Desktop;
- Ambienti di programmazione esplorativa (SmallTalk, Interlisp, Unix, HyperCard), con oggetti di programmazione dotati di forma grafica visiva mostrata sullo schermo;
- Fogli elettronici;
- Computer games.
Definisce poi il concetto di immediatezza, intesa come
(…) manipolazione diretta [, che] rappresenta un principio di base per progettare l’utensilità dei manufatti informatici (…) coniato nel 1974 da Ben Schneiderman, il quale, con alcuni altri, lo ha più tardi sviluppato in uno dei princìpi fondamentali per la progettazione di interfacce utente. Schneiderman ha descritto la guida di un automobile come il proprio esempio favorito di manipolazione diretta.
La scena è visibile direttamente attraverso la finestra di fronte, e azioni come frenare o sterzare sono diventati conoscenza comune nella nostra cultura. Per girare a sinistra, l’autista ruota semplicemente il volante verso sinistra. La risposta è immediata e la scena cambia, fornendo feedback per perfezionare la svolta. Immaginate di cercare di voltare fornendo il comando Sinistra 30 Gradi e di dover poi fornire un altro comando per vedere la nuova scena.
Nella progettazione di interfacce utente questo viene normalmente simulato puntando promemoria visivi di oggetti e azioni su uno schermo. Qualsiasi compito può essere portato a termine con rapidità, e i risultati sono immediatamente osservabili. L’introduzione di comandi da tastiera viene sostituita da apparati di puntamento per selezionare oggetti e azioni.
In un articolo recente Edwin Hutchins e altri hanno ulteriormente sviluppato i princìpi della immediatezza. Il loro suggerimento è che si ottiene questa immediatezza attraverso una modifica della metafora centrale per l’interfaccia utente. Tradizionalmente si è fatto uso di una metafora conversazionale. L’utente è in contatto con strutture linguistiche, strutture che si possono interpretare come riferite agli oggetti di interesse. L’interfaccia diventa un intermediario rispetto a un “mondo” nascosto. La consapevolezza focale sta sulla “conversazione” con l’intermediario a proposito del compito, e non sull’eseguirlo. L’interfaccia sta in mezzo alla via dell’utente, come un utensile progettato male.
Alan Kay ha sostenuto che:
“una persona esercita il massimo potere di leva quando la sua illusione può essere manipolata senza bisogno di ricorrere a intermediari astratti, come i programmi nascosti necessari per far funzionare anche un semplice elaboratore di testi. Quello che io chiamo leva (leverage) diretta viene esercitata quando l’illusione agisce come un kit, ossia come uno strumento [tool] con il quale risolvere un problema”.
Si può arrivare a questo attraverso la progettazione di un contesto teatrale dove far agire l’utente. Questo contesto teatrale si riferisce spesso a una metafora di mondo modello. L’utente non descrive azioni, ma le esegue nel contesto teatrale. Questo mondo di azione, piuttosto che un linguaggio di descrizione è tipico degli esempi sopra riportati, non soltanto dei computer games, ma anche di tutti gli altri, come gli ambienti di progettazione grafica, i fogli elettronici, e gli ambienti di programmazione esplorativa. .
La prospettiva utensile dal progetto Utopia può venire considerata come un caso particolare di creazione di un contesto teatrale attraverso fuso di una metafora di mondo modello. L’utente è l’attore dotato di capacità, e il “mondo” è progettato per mezzo di “utensili” che l’attore può utilizzare per rifinire i “materiali”. Si tratta di una “meta”-metafora che si può applicare a molte situazioni pratiche, ma si possono naturalmente creare anche meta-metafore completamente differenti. (…)
Per ottenere immediatezza nell’uso di utensili in questi contesti teatrali bisogna tuttavia che l’interfaccia utente possieda alcuni requisiti. Hutchins e collaboratori suggeriscono che (…):
• Deve essere all’utente possibile trattare nella pratica i promemoria di oggetti o azioni come se fossero gli oggetti o le azioni stesse. Il che non è equivalente al dire che i promemoria non possono essere verbali, e devono essere grafici, attraverso l’uso di immagini e icone. L’essenziale è piuttosto che menù, icone e immagini su uno schermo hanno dimostrato di funzionare in buona parte come funzionano le parole onomatopeiche.
• Ci deve essere una relazione inter-referenziale tra “linguaggio ” di input e quello di output. Le espressioni di input devono poter incorporare o utilizzare precedenti espressioni di output. L’immediatezza viene normalmente progettata attraverso l’uso del medesimo “oggetto” tanto per l’input quanto per l’output. Con gli apparati di interazione l’utente “controlla” i cambiamenti sullo schermo.
• Non vi devono essere attese tra un input dell’utente inteso a modificare un oggetto e il corrispondente cambiamento dell’output (a meno che queste attese non siano “naturali” nel contesto teatrale).
• Deve essere possibile all’utente “visionare” gli oggetti da diverse prospettive, e ottenere in questo senso diversi promemoria del medesimo oggetto.
Negli esempi di manufatti informatici di tipo utensile fomiti sopra, così come nella progettazione di utensili per l’impaginazione e l’elaborazione di immagini nel progetto Utopia, questi mezzi per ottenere utensilità sono stati normalmente utilizzati.
Più analiticamente, Hutchins e collaboratori suggeriscono che l’immediatezza semantica, l’immediatezza articolatoria e il coinvolgimento diretto sono concetti centrali per progettare l’immediatezza dei manufatti informatici.
Immediatezza semantica
Facendo uso di un linguaggio più in linea con questo libro, l’immediatezza semantica riguarda la misura in cui il contesto teatrale è vicino alla competenza concettuale dell’utente, vale a dire con quale efficacia l’interfaccia utente si collega alla pratica e al linguaggio con cui l’utente è familiare. Gli utenti abituali possono sotto questo aspetto riuscire ad attraversare la maggior parte delle interfacce mal progettate e a superare le fratture semantiche, ma questa non è una scusa per non cercare di progettare nel linguaggio degli utenti contesti teatrali consistenti. In ogni caso, un’interfaccia che permetta l’immediatezza semantica a un utente qualificato non fa necessariamente la stessa cosa rispetto ad un principiante, e viceversa, il che rappresenta un ben conosciuto dilemma di progettazione.
Un altro dilemma dell’immediatezza semantica è il livello degli utensili nell’interfaccia utente. Il comando primitivo di una macchina di Turing fornisce all’utente gli utensili per eseguire qualsiasi compito che possa essere eseguito con un manufatto informatico, ma non ci sono molti utenti che potrebbero trame giovamento nella loro pratica normale di lavoro. Hutchins e collaboratori si riferiscono a questo come al pozzo di catrame di Turing in cui qualsiasi cosa è possibile ma nulla di interessante è facile. Ma avvertono anche dei pericoli dell’opposto, dove utensili sopra-specializzati rendono facili le operazioni, ma poco di interessante è possibile.
Tuttavia, come sostiene Don Norman in un altro articolo del medesimo libro:2
Vogliamo utensili di più alto livello costruiti con sapienza per il loro scopo. Abbiamo bisogno di utensili di basso livello per poter creare e modificare quelli di più alto livello. Il livello degli utensili deve corrispondere al livello delle intenzioni. Di nuovo, più facile a dirsi che non a farsi.
Sembrano fondamentalmente esserci due uscite a questo dilemma della immediatezza semantica. La prima consiste nel progettare gli utensili in stretta cooperazione con gli utenti futuri, tenendosi vicini alla loro esperienza pratica e al loro linguaggio professionale. Questo è il modo in cui la metafora dell’utensile è stata utilizzata nel progetto Utopia e negli esempi di progettazione grafica fomiti sopra. Il modo complementare è quello di fornire all’utente accesso agli utensili su diversi livelli per manipolare ed espandere in maniera crescente un intero e consistente contesto teatrale, arrivando dagli utensili di programmazione di base ai più compositi utensili di applicazione. Questo è, per esempio, il modo in cui un utente interagisce con una macchina Smalltalk, contrapposto agli ambienti tradizionali dove sistemi operativi, linguaggi di programmazione e programmi di applicazione sono separati. HyperCard esibisce lo stesso principio.
Immediatezza articolatoria
L’immediatezza articolatoria ha a che fare con la relazione tra i concetti utilizzati nell’interfaccia e la loro forma fisica. Come si diceva ptù sopra, l’onomatopea è una tecnica di cui si fa uso nel linguaggio parlato. Hutchms e collaboratori sostengono che:
“in molti modi, dovrebbe essere più facile per i linguaggi di interfaccia che per i linguaggi naturali servirsi della similarità articolatoria, a causa della ricca base tecnologica a loro disposizione. Perciò, se l’intento è quello di tracciare un diagramma, l’interfaccia potrebbe accettare come input i movimenti per disegnarlo. A sua volta, potrebbe presentare come output diagrammi, grafi e immagini. Se si sta parlando di configurazioni di suoni al linguaggio di interfaccia, l’output potrebbe essere costituito dai suoni stessi. Il calcolatore ha la possibilità di servirsi delle similarità articolatorie facendo uso dell’innovazione tecnologica nelle diversissime dimensioni sopra le quali potremmo voler operare“.
Gli schermi a mappa di bit ad alta risoluzione facilitano la creazione di articolazione diretta in maniera estremamente significativa. Espressioni come le immagini e le icone su uno schermo, e il loro subitaneo modificarsi secondo l’input fornito dall’utente, oppure i suoni di un generatore di toni, sono mezzi che estendono l’immediatezza articolatoria del linguaggio verbale. Dal lato dell’input possiamo ottenere immediatezza articolatoria imitando azioni come i movimenti del cursore con il muovere un mouse, una trackball, una penna luminosa, e così via. È sicuramente l’immediatezza articolatoria, e non quella semantica, che ha reso i computer games così attraenti per molta gente.
Gli apparati di output come gli schermi a mappa di bit e gli apparati di input come il mouse vengono utilizzati, in questi giochi come in molti degli esempi presentati sopra, per dar sostegno a una metafora spaziale. La metafora spaziale può essere utilizzata per creare utensili concreti completamente nuovi per compiti che nel passato sono stati unicamente formali o astratti. Inoltre, anche nei sistemi computerizzati con poco sostegno alla metafora spaziale, gli utenti tendono a fame uso per “aggirarsi nel sistema” o per “spostarsi da un posto all’altro”. Si è anche osservato come i giovani nelle nostre società contemporanee di mezzi di comunicazione sviluppino una competenza unica nel gestire rappresentazioni spaziali e grafiche. Si è cominciato con film e televisione, ma i computer games e i personal computer hanno accelerato questa tendenza.
“Coinvolgimento diretto “
Per finire, il coinvolgimento diretto è, secondo Hutchins e collaboratori, un sentimento di partecipazione diretta a un mondo di oggetti. Questi oggetti devono rivestire un qualche interesse per l’utente, e dev’essere possibile agire su di loro e osservare la loro reazione. Per fornire all’utente la possibilità di questo coinvolgimento, i progettisti devono fare uso di mezzi per creare immediatezza semantica e articolatoria dei manufatti informatici. E in ogni caso, l’uso di questi manufatti deve essere sufficientemente interessante per l’utente da coinvolgerlo. Dopo tutto, l’interfaccia utente è, per dirla come Kay, “essenzialmente un contesto teatrale“. È la progettazione di un coinvolgente contesto teatrale in cui l’utente possa avere consapevolezza focale sulle azioni all’interno di questo “mondo”, lasciando solamente consapevolezza sussidiaria degli utensili utilizzati, che rappresenta la sfida più dura per i progettisti di interfacce utente. Si tratta di una sfida alla progettazione di utensili e contesti per l’uso professionale come alla progettazione di computer games. (…)