Affermano Iaconesi e Persico:
I dati non sono più quelli di una volta. Non serve contare, serve saper cercare e trovare forme, pattern. Serve rendere i dati toccabili, crearci dentro le immagini, sentirli. E per questo [nel 2019, anno del “rinascimento” dell’AI] ci volevano gli artisti. Un certo tipo di artisti, possibilmente: quello che tutte le organizzazioni volevano erano artisti docili. Bravi artisti desiderosi di fare i compiti a casa. Artisti al servizio. Artisti che potessero prendere una AI esattamente come può fornirla Google o un qualsiasi altro operatore tecnologico. E di usarla così com’era, con l’egemonia tecnica- culturale inscritta in quel codice, collaborando allegramente con gli ingegneri di Google e Amazon. Fare opere d’arte con le stesse AI che sono alla base degli attuali industrie estrattive di dati e computazione. «Artisti, correte! Prendete una AI! Fateci qualcosa di carino! Rendetela colorata e divertente!». Il tipo di artisti/maker/designer/startupper che vendono auto, smartphone e soluzioni per le aziende AI_for_you, sfoderando intelligenze artificiali eleganti e lucide in ottimo stile sci-fi [moda ispirata alla fantascienza – NdR], possibilmente sostenibile. [Dalla scelta di rifiutare questo approccio nasce IAQOS] (S. Iaconesi – O. Persico, “Se mio figlio è un’AI” – “AI & Conflicts 01”, Krisis Publishing)