Pseudo-semplicità e antropo-algoritmica

Gallina propone alla riflessione un atteggiamento davvero diffuso e ne tira conclusioni che possono essere estese a tutti i dispositivi generativi/riproduttivi:

La sovrastimolazione prodotta dalle tecnologie e i ritmi di sviluppo esponenziali inducono a ritenere che l’implementazione delle macchine avvenga all’insegna della semplicità. Osservando una banale macchinetta del caffè nessuno più si chiede quanto complesso sia erogare la polvere dei chicchi, consentire all’acqua di raggiungere la pressione di esercizio, mandare la miscela in temperatura e automatizzare l’intero processo. Si dà per scontato che un computer assolva al proprio compito come per intervento divino. In realtà, dietro ogni prodotto digitale e dietro ogni macchina c’è uno sforzo creativo di softwaristi che, a volte, raggiunge livelli di virtuosità uguali, se non superiori, a quelli assegnati dal comune sentire solo ai geni dell’arte. [Va invece considerato anche che] L’affermazione “Non è giusto che un robot dipinga al posto del pittore. Troppo facile così!”Il fraintendimento scaturisce dalla definizione stessa di “intelligenza artificiale”. Prima dell’avvento dei computer, l’intelligenza era esclusiva manifestazione del cervello biologico. Quando il sostantivo è stato abbinato all’aggettivo “artificiale”, nell’intimo, la società si è sentita defraudata, come se l’AI stesse rubando parte dell’essenza dell’essere umano. Se l’AI fosse stata chiamata antropoalgoritmica la consapevolezza della società avrebbe preso direzioni diverse. presuppone che il robot sia di per sé una macchina in grado di dipingere con la stessa consapevolezza di un artista in carne ed ossa. Ma, per quanto detto, il vero soggetto creativo è il padre dell’algoritmo. Il robot è solo uno strumento, un oggetto senz’anima che serve per dare corpo alla sensibilità della mente umana. (…) Il fraintendimento scaturisce dalla definizione stessa di “intelligenza artificiale”. Prima dell’avvento dei computer, l’intelligenza era esclusiva manifestazione del cervello biologico. Quando il sostantivo è stato abbinato all’aggettivo “artificiale”, nell’intimo, la società si è sentita defraudata, come se l’AI stesse rubando parte dell’essenza dell’essere umano. Se l’AI fosse stata chiamata antropoalgoritmica la consapevolezza della società avrebbe preso direzioni diverse. (P. Gallina, “La protoarte dei robot. Quando l’arte, la robotica e l’intelligenza artificiale si intrecciano”)