Nowotny dà un’indicazione epistemologica molto utile:
Da quando sono state inventate, le prime tecnologie hanno esteso la portata e l’efficacia di ciò che può essere realizzato. Con le tecnologie digitali la programmazione è un nuovo linguaggio che consente agli algoritmi di fare molto di piùcalcolare. Possono regolare, adattare, contare, archiviare, controllare, dirigere, riconoscere, confrontare, amplificare, ecc. Diciamo loro “amplifica questo”, “memorizza quello”, “recupera questo”, “ordina quello” e seguono risultati sorprendenti. È quindi appropriato, come suggerisce Arthur, pensare agli algoritmi come verbi (…). I verbi denotano azioni e gli algoritmi sono progettati per agire e raggiungere determinati obiettivi. Lo scopo può essere quello di fare soldi, come nella semplice economia dell’IA. Gli si può dire di mappare e visualizzare tutto ciò che si trova nei dintorni, o di essere usati nelle app per trovare un ristorante o per la sorveglianza. Le auto a guida autonoma possono essere dotate di algoritmi evolutivi e satelliti o droni schierati per monitorare la deforestazione mondiale. Se pensiamo agli algoritmi come verbi, allora dovremmo pensare a noi stessi come nomi. Nessuno dei due può funzionare da solo. Distribuiamo la tecnologia, ma la tecnologia si ripercuote sul nostro comportamento e ci adeguiamo di conseguenza. (H. Nowotny, “In AI We Trust: Power, Illusion and Control of Predictive Algorithms” – traduzione in proprio)