Distingue Fraser:
I «lavoratori» sfruttabili si vedono riconosciuto lo status di individui e di cittadini dotati di diritti, beneficiano della protezione dello Stato e possono disporre liberamente della propria forza lavoro. Gli «altri» espropriabili sono costituiti come esseri non liberi e dipendenti; privati della protezione politica, sono resi inermi e intrinsecamente violabili. Così, la società capitalista divide le classi produttrici in due categorie distinte di persone: una adatta al «mero» sfruttamento, l’altra destinata alla bruta espropriazione. Questa divisione rappresenta un’altra linea di faglia istituzionalizzata della società capitalista, altrettanto costitutiva e strutturalmente radicata di quelle (…) tra produzione e riproduzione, tra società e natura e tra sistema politico ed economia. Come le altre, inoltre, anche questa divisione sostiene una specifica modalità di dominio della società capitalista: l’oppressione razziale-imperialista. (…) nella società capitalista a vedersi negare la protezione politica e a subire ripetute violazioni sono nella stragrande maggioranza dei casi delle popolazioni razzializzate. Basti citare gli schiavi, i sudditi coloniali, i «nativi» conquistati, i braccianti in stato di servitù debitoria, i «clandestini», i pregiudicati, i soggetti razzializzati degli Stati che applicano politiche di apartheid e i loro discendenti, tutti vittime di espropriazione non una volta sola (…), ma ancora e ancora. La divisione tra sfruttamento ed espropriazione, coincidendo approssimativamente ma inequivocabilmente con la «linea del colore» globale, porta dunque con sé una serie di ingiustizie strutturali, tra cui l’oppressione razziale, l’imperialismo (vecchio e nuovo), la spoliazione delle popolazioni indigene e il genocidio. (…) La mia tesi è che l’espropriazione sia effettivamente un aspetto essenziale della società capitalista e del suo legame con il razzismo. In poche parole, come spiegherò, l’assoggettamento di coloro che il capitale espropria è una condizione di possibilità nascosta della libertà di coloro che sfrutta. Senza una descrizione del primo fenomeno, non possiamo comprendere appieno il secondo. Né possiamo intravedere le basi strutturali dell’intreccio storico tra capitalismo e oppressione razziale. (…) Nella società capitalista sono gli organismi politici, e in particolar modo gli Stati, a offrire o rifiutare protezione. E sono sempre gli Stati, per lo più, a codificare e a far rispettare le gerarchie che distinguono i cittadini dai sudditi, gli autoctoni dagli stranieri, i lavoratori dotati di diritti dai diseredati dipendenti. Costituendo soggetti sfruttabili e individui espropriabili e distinguendo gli uni dagli altri, le pratiche statali di soggettivazione politica forniscono una precondizione indispensabile dell’«auto»-valorizzazione del capitale. (…) Anche gli assetti geopolitici sono coinvolti. A consentire la soggettivazione politica a livello nazionale è un sistema internazionale che «riconosce» gli Stati e autorizza i controlli alle frontiere che distinguono i residenti legali dagli «stranieri illegali». (N. Fraser, “Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta”)