Dizionario post-imperiale

Questo articolo è – forse – un po’ pretenzioso. L’idea, infatti, è realizzare una sintesi dei concetti fondamentali di Boaventura de Sousa Santos, che mi sembra – almeno fino ad ora – colui che meglio incarna la lotta intellettuale contro la supremazia cognitiva e culturale occidentale, funesta per l’emancipazione e spesso inconsapevole. N.B.: i concetti sono nell’ordine in cui li ho capiti/perfezionati.

Linea abissale: separazione tra società e socialità metropolitane (Nord) e società e socialità coloniali (Sud). Fondata in modo esclusivo sulla modernità occidentale, e quindi, oltre che sul colonialismo, su capitalismo e patriarcato, dà vita a una forma di pensiero a sua volta abissale, che dà per scontata la demarcazione e le esclusioni che ne derivano, al punto da invisibilizzarle, con l’imposizione di considerare universali i propri principi e valori, forma di mondo verso cui tutti devono tendere, unico modello di progresso e sviluppo possibile, con conseguente deprivazione ontologica, ovvero il rifiuto da parte metropolitana di riconoscere la piena umanità dell’altro.

Esclusioni abissali: esclusioni determinate dalla linea abissale, nei territori e nei gruppi sociali subalterni.

Esclusioni non abissali: esclusioni nei territori e nei gruppi sociali metropolitani, sono gestite dalla tensione tra regolazione sociale ed emancipazione sociale e dai meccanismi sviluppati dalla modernità occidentale: stato liberale, stato di diritto, diritti umani e democrazia.

Tipi di lotta: ci sono due tipi generali di possibili lotte, quelle contro le esclusioni abissali e quelle contro le esclusioni non abissali. Le epistemologie del Sud si concentrano sulle esclusioni abissali, difficilmente trasmissibili e comprensibili, in particolare da parte di coloro che abitano il lato metropolitano della linea abissale e sono quindi socialmente addestrati a considerare tutte le esclusioni come non abissali: il pensiero abissale, oggi egemonico, infatti rende inesistente, irrilevante o inintelligibile tutto ciò che esiste dall’altra parte della linea abissale. La lotta per l’emancipazione sociale contro le esclusioni non abissali è sempre contro le esclusioni dovute alla forma di regolazione sociale in atto, con l’obiettivo di sostituirla con una nuova, meno escludente. La lotta contro l’esclusione abissa è contro l’appropriazione e la violenza, per la totale liberazione dalla regolazione sociale coloniale: non mira a una forma migliore e più inclusiva di regolamentazione coloniale, ma alla sua eliminazione.

Epistemologie del Nord: concezioni egemoniche, occidento-centriche della conoscenza e della cultura, riferite si fondano a un soggetto razionale, epistemico piuttosto che concreto o empirico. Validano due tipi fondamentali di conoscenza: la conoscenza che serve gli obiettivi della regolazione e la conoscenza che serve gli obiettivi dell’emancipazione sociale. Questo paradigma ha costruito (e nascosto) la costruzione della linea abissale, concependo la dualità tra regolazione sociale ed emancipazione sociale come universale. Quando, invece, si applicava solo alle società metropolitane, mentre nelle colonie il dualismo era tra appropriazione e violenza. La conoscenza come emancipazione era esclusa dalle società coloniali dove il sapere come regolazione era applicato come ordine che garantisse la riproduzione di appropriazione e violenza. La fase del capitalismo globale (neoliberismo) vede la conoscenza come regolazione pronta a liberarsi della conoscenza come emancipazione per produrre un ordine strutturato dalla dualità tra appropriazione e violenza, caratteristica della regolazione coloniale.

Epistemicidio di massa: soppressione violenta di ogni tipo di conoscenza non congruente con l’ordine coloniale, e quindi non appropriabile, con, di conseguenza, imposizione di monopolio sulla conoscenza ritenuta valida e rigorosa e spreco di esperienza sociale e memoria storica. Le società che hanno subito questo processo egemonico sono state rese incapaci di rappresentarsi il mondo come proprio e nei propri termini, e quindi di considerarlo suscettibile di cambiamenti, con l’esercizio di un proprio potere e per propri obiettivi.

Metodologie estrattive: hanno come obiettivo l’estrazione unilaterale di conoscenza come materia prima, ovvero l’appropriazione di informazioni rilevanti fornite da oggetti dei processi cognitivi, umani o non umani. I soggetti estrattori controllano il processo di estrazione, che può essere intensivo o estensivo, ma si fonda sull’approccio secondo cui le fonti sono disponibili fino a totale esaurimento e giudica irrilevante e inutile ciò che non interessa al processo stesso. Si tratta di metodologie non decolonizzabili, anche se, in alcune situazione circostanze le conoscenze coinvolte possono essere risignificate o riconfigurate e impiegate con scopo controegemonici.

Epistemologie del Sud: agiscono per la giustizia cognitiva e contro un possibile doppio spreco: intellettuale oltre che politico, per costruire sovranità epistemica. Hanno infatti come obiettivo la costruzione e la convalida della conoscenza tra i gruppi sociali oppressi e i loro alleati al fine di rafforzare le lotte sociali contro il dominio. Si incarnano, quindi, in corpi concreti, collettivi o individuali. Questo approccio valorizza tutti i diversi saperi e non c’è gerarchia assoluta tra di essi. Le gerarchizzazioni sono invece contestuali e pragmatiche, in vista dei rapporti di fiducia tra i saperi, i soggetti del sapere, e le pratiche liberatrici: ciò che conta è la loro efficacia – valutata in dialoghi soggetto-soggetto- per rafforzare le lotte contro la dominazione. Si basano sulla distinzione tra sapere scientifico e sapere artigianale e sulla trasformazione del sapere scientifico abissale in sapere scientifico postabissale per poter integrare le ecologie delle conoscenze e l’artigianato delle pratiche.

Conoscenza con: è la conoscenza soggetto-soggetto (opposta alla conoscenza su, soggetto-oggetto, fondata sull’estrattivismo intellettuale che mira all’appropriazione, all’assimilazione e alla sussunzione); è tipica delle epistemologie del sud, perché deve soddisfarne il secondo criterio di fiducia, ovvero la validità per le lotte contro capitalismo, colonialismo, patriarcato.

Insider e outsider: Le società e le socialità metropolitane si sono sempre concepite come appartenenti, a livello esistenziale, all’umanità e, a livello teorico, all’universalità. Si vedevano come costitituite in modo esclusivo da esseri umani ed esseri universali,e qualunque aggregazione diversa da esse, collocata al di là della linea abissale, era per forza di cose una mostruosità, non solo a livello sociale e politico, ma anche a livello ontologico, epistemologico e metodologico. Pertanto, nello studiare i gruppi sociali subalterni e oggetto di esclusioni abissali, la scienza moderna è sempre stata prodotta da outsider che studiavano insider, concepiti come oggetti di ricerca, possibili fornitori di informazioni, ma mai di conoscenza. Se un insider, membro di una comunità subalterna, raggiungeva la condizione di scienziato, il protocollo gli richiedeva di comportarsi come un outsider. Per la scienza postabissale, invece, la comunità di appartenenza o identità è determinata dalla condivisione della lotta contro il dominio, allo scopo di costruire le alleanze politiche e le ecologie dei saperi rivendicate dalle epistemologie del Sud.

Sociologia delle assenze: ha come obiettivo la trasformazione dei soggetti assenti in soggetti presenti e la denaturalizzazione dell’oppressione capitalistica, coloniale, patriarcale;

Sociologia delle emergenze: ha come obiettivo inviduare le nuove possibilità di trasformazione sociale che emergono oltre la linea abissale: semi della rovina, appropriazioni controegemoniche, zone liberate.

Ecologie delle conoscenze: hanno come obiettivo l’identificazione dei corpi di conoscenza efficaci contro la dominazione, concepiti come saperi autonomi, impegnati in processi di fusione o ibridazione. Le epistemologie del Sud riguardano, infatti, diversi tipi di conoscenza e le loro articolazioni nelle lotte contro l’oppressione. In queste ecologie ci sono due tipi fondamentali di conoscenze: quelle che nascono nella lotta e quelle che, anche non sono nate nella lotta, possono esserle utili. Entrambi possono includere conoscenze scientifiche e non scientifiche. Quelle non scientifiche sono conoscenze artigianali: pratiche, empiriche, popolari, vernacolari e così via. Esse sono molto diverse tra loro, ma con una caratteristica comune: non sono state prodotte separatamente dalle altre pratiche sociali. Anche la scienza postabissale, utile alla lotta contro la dominazione, va per altro considerata sempre come un sapere parziale in dialogo con altri saperi.

Identità diatopiche: si contrappongono al fatto che istituzioni e pedagogie predominanti della modernità eurocentrica propongono dicotomie, due insiemi di persone, entità o funzioni, internamente omogenee, nettamente distinte l’una dall’altra, anche se legate da una relazione gerarchica. Sono esempi le contrapposizioni binarireo stato/società civile; pubblico ufficiale/cittadino; insegnante/studente; informato/ignorante; uomo donna; nazionale/straniero; lavoratore/migrante, medico/paziente; rappresentante/elettore eletto; governante/governato; maggioranza/minoranza; cittadini/gruppi etnici; adulto/bambino; normale/disabile; occupato/disoccupato. Le dicotomie diatopiche si fondano invece sulla possibilità di essere all’uno o all’altro polo in momenti o in contesti diversi, e di poter e saper passare facilmente da un polo all’altro, cioè di accettare, sul piano identitario, le dicotomie ma non le gerarchie. In alcune situazioni particolati, identità diatopiche significa identità sintetiche che non si riconoscono nelle dualità. Ecologie dei saperi, traduzione interculturale e artigianato delle pratiche, infatti, si fondano sull’idea di incontro e di dialogo reciproci, per favorire la fecondazione incrociata e gli scambi reciproci di conoscenze, culture e pratiche contro l’oppressione. Possono anche emergere identità, conoscenze e pratiche che trascendono le dicotomie. Le epistemologie del Sud si realizzano insomma attraverso identità diatopiche, minga epistemiche e democrazia ad alta intensità.

Falsa oggettività e relativismo di lotta: la diversità delle esperienze del mondo richiede un dialogo tra esse piuttosto che l’imposizione con la forza di una a tutte le altre, in quanto ritenuta universale, con la presunzione che l’oggettività del mondo possa essere captata in base a una sola esperienza, che – per quanto soggettiva e parziale – avrebbe il potere di dichiarare tutte le altre soggettive e parziali. Nei fatti, questo paradosso è ciò che è stato costruito dalla modernità occidentale e dal suo dispensare esperienze colonialiste, capitaliste e patriarcali. L’esperienza europea si è connotata come universalmente fondante: va invece compreso e affermato che esistono molteplici mondi oggettivi e soggettivi di vita, significato e azione, che costituiscono piuttosto un pluriverso, in cui i saperi misurano la propria – relativa – ragionevolezza e la propria – relativa – adeguatezza in funzione delle lotte sociali che interessano la comunità epistemica di riferimento.

Metodologie decolonizzanti (antiestrattiviste o postestrattiviste): sono i processi di costruzione di conoscenza attendibile e affidabile con un approccio non estrattivista, perchè – all’opposto – dialogico e fondato sulla cooperazione tra soggetti conoscenti anziché mediante interazioni cognitive unilaterali soggetto/oggetto.

Artigianato delle pratiche: è il punto più importante del lavoro delle epistemologie del Mezzogiorno, perché progetta e valida le pratiche di lotta e di resistenza portate avanti secondo le premesse delle epistemologie del Mezzogiorno, in considerazione del fatto che nessuna lotta sociale, per quanto forte, può avere successo se si concentra solo su uno dei modi della dominazione: capitalismo, colonialismo, patriarcato. Si tratta di lavoro politico simile a quello artigianale, senza modelli standardizzati, dove la ripetizione è ogni volta creazione, che tiene a bada l’universalismo.

Sapere artigianale: non discreto, fortemente performativo, è la dimensione cognitiva delle pratiche sociali di lotta e non può essere valutato senza considera chi lo formula e il contesto. Si tratta spesso di conoscenze collettive o comuni, la cui mobilitazione individualizzata dipende sempre da autorità e efficacia di chi le mobilita: è una mescolanza di conoscenza e soggetto conoscente. Contribuisce con il proprio vissuto dentro e fuori rapporti di dominio; memoria di sofferenze ingiuste iscritte nei corpi, nelle terre e nelle culture; caratteristiche e vicende specifiche di lotta e resistenza; conseguenze di errori e correzioni, insuccessi e successi; oscillazioni tra sentimento-pensare con paura e sentimento-pensare con speranza; Ogni contributo ha una sua logica cognitiva, e la incompletezza di ciascuno di essi può sorprendere l’altro. Il sapere artigianale rischia di esagerare la propria capacità analitica trasformando visioni retrospettive in prospettiche (il presente si configura come passato del futuro) e di perdere distanza critica rispetto al nuove condizioni ed esigenze del presente in lotta. Per le epistemologie del Sud è fondamentale mantenerne la distizione con il sapere scientifico.

Oralità e oratura: La conoscenza scientifica viene diffusa dalla scrittura, condizione per essere considerata rigorosa, in quanto formulata in versione univoca e con matrice linguistica definita e dichiarata, e monumentale: i testi sono duraturi, non sono oggetto di pratiche quotidiane. Ci sono però conoscenze diffuse oralmente, prive di qualsiasi espressione scritta; enunciate nella vita quotidiana, sono più comuni di quelle scritte, e non necessariamente riguardano solo analfabeti: si tratta di una modalità di conoscenza, con una logica di produzione e riproduzione differente. Il linguista ugandese Pio Zirimu ha per altro coniato l’espressione oratura, che individua l’espressione orale usata con uno status comunicativo paragonabile a quello dell’espressione scritta. L’inutilità o l’inadeguatezza della conoscenza scientifica spesso derivano dall’arroganza e dall’ermetismo dello scienziato. Confinata nella propria zona di comfort la conoscenza scientifica ricorre infatti alla propria retorica argomentativa, una retorica totalmente inefficace in contesti di lotta sociale, dove ecologie dei saperi creano e comunità epistemico-politichee richiedono altri tipi di argomentazione retorica. In questi contesti sono infatti necessari spazi argomentativi aperti ad altri modi di conoscere utili per costruire una diversificata e profonda comprensione del mondo, finalizzata a una progressiva trasformazione sociale più efficiente e ampiamente condivisa. L’esposizione orale in un dialogo orale – la cui fruibilità è moltiplicata dalle potenzialtà delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione – di idee scritte: la conoscenza di riferimento diventa più incerta, incompleta e meno differenziata dalle altre conoscenze, con una qualità umana e una vivacità totalmente assenti nella versione scritta. Si perdono gran parte della linearità e dell’impeccabile razionalità e vengono magari evocati fattori, incidenti e aneddoti che avrebbero screditato lo scritto. Intervengono i contesti in cui è avvenuta la scrittura, curiosità, influenze, esitazioni, rinunce e recuperi, intenzioni analitiche diverse da quelle poi effettivamemte attribuite.

Corazonar: è un concetto delle popolazioni indigene della regione andina dell’America Latina e consiste nel riscaldamento della ragione mediante emozioni, affetti e sentimenti. Una ragione riscaldata costituisce una forma spirituale non occidentale-centrica di energia insorgente contro l’oppressione e la sofferenza ingiusta, che spinge a continuare la lotta nonostante lo squilibrio dei poteri e le sconfitte. Si propone come un sentimento-pensiero che riunisce tutto ciò che è separato da dicotomie, come mente/corpo, interno/esterno, privato/pubblico, individuale/collettivo o memoria/anticipazione. Una ragione corazonada costituisce un’incrollabile determinazione a lottare simile a quella delle sufficienze intime, le provviste interne della memoria collettiva, significati a cui ricorrere nei momenti critici per ritrovare forza sociale e culturale, per liberare modi di pensare, fare e nominare e per aprire strade alternative nei confronti delle istituzioni.

Interpretazione ibrida dei concetti eurocentrici: è una delle forme di emancipazione culturale del mondo, oltre i confini della politica e della conoscenza occidentali. Si tratta di pratiche e idee non occidentali-centriche e di conseguenza espresse nei linguaggi originari; in altri casi – come legge, stato o democrazia – sono di conseguenza concettualizzazioni formulate in linguaggio coloniale qualificato da un aggettivo specificante: democrazia comunitaria, stato plurinazionale e così via.

Triplice ermeneutica per una scienza postabissale: La scienza postabissale, integrata nelle ecologie dei saperi, deve preservare la propria autonomia, ma con la disponibilità a sottostare a una triplice ermeneutica decolonizzante: l’ermeneutica della parzialità; l’ermeneutica del carattere abissale di quella parzialità; e l’ermeneutica della tensione tra fiducia e autonomia. L’ermeneutica della parzialità riconosce che anche la scienza è un sistema sia di conoscenza sia di ignoranza. La conoscenza scientifica è parziale perché non conosce e non può assolutamente conoscere tutto ciò che è ritenuto importante. Inoltre, la scienza moderna eurocentrica concepisce il suo progresso come distruzione attiva di altre conoscenze rivali, senza considerare se ciò sia – secondo parametri esterni alla scienza stessa- bene umano incondizionato o piuttosto bene umano o addirittura male umano. Per interagire produttivamente con altre conoscenze nelle ecologie dei saperi, la scienza deve separare la propria autonomia metodologica dalla pretesa di esclusiva validità epistemologica, dando ad altri saperi la possibilità di impegnarsi nelle lotte sociali senza bisogno di essere convalidati dalla scienza. Comprenderne la natura abissale vuol dire capire la logica della parzialità della scienza moderna, costruita geopoliticamente per fondare e riprodurre la linea abissale, mediante la creazione di assenze, realtà invisibili, irrilevanti, dimenticate, inesistenti. La scienza decolonizzante si considera invece attivamente impegnata, insieme ai saperi artigianali, a individuare e denunciare la linea abissale in modo da rendere credibile la produzione di saperi postabissali, tra cui la stessa scienza postbissale. La tensione tra fiducia e autonomia richiede alla scienza come parte dell’ecologia dei saperi di confrontarsi con altri saperi: la scienza può svolgere un ruolo utile nelle lotte sociali solo se rimane un sapere metodologicamente autonomo, ma deve rinunciare all’esclusività epistemologica. Resta possibile produrre scienza all’interno delle ecologie dei saperi, ma non secondo la logica esclusiva della scienza moderna abissale. La solidarietà con la lotta sociale e la negoziazione della scienza con altri saperi comportano invece il rifiuto di alcune metodologie, la ricostruzione critica di altre e l’invenzione di altre ancora.

Traduzione inteculturale: ha come obiettivo l’intelligibilità reciproca dei gruppi sociali e la trasmissibilità della conoscenza senza la rinuncia all’identità dei soggetti: può essere diffusa nelle relazioni sociali o esplicitamente didattica. Può avere diversi direzionamenti: Sud-Nord; Nord-Sud; Sud-Sud. Nelle epistemologie meridionali non comprende tanto il campo delle idee uguali o simili espresse in lingue differenti, quanto piuttosto idee spesso molto diverse e che possono, o no, essere espresse nello stesso linguaggio. È fondamentale perché ci sia apprendimento reciproco tra i diversi gruppi sociali oppressi che, in regioni e in tempi differenti, resistono a diverse forme di dominio e le combattono. La traduzione interculturale è sempre interpolitica e, da sempre, i gruppi sociali hanno sempre cercato di informarsi come meglio potevano sulle esperienze di combattimento di altri gruppi, sia per evitare errori, sia per trovare idee. Il pensiero critico eurocentrico non ha mai valorizzato questo lavoro di apprendimento reciproco e permanente, avvenuto in contesti che non erano considerati di produzione intellettuale. Il pensiero critico eurocentrico, anzi, ha assunto il monopolio della conoscenza oggettiva e rigorosa in materia di emancipazione sociale e considerato la traduzione interculturale come una pericolosa mancanza di rigore.

Minga epistemica: “minga” è di origine quechua e definisce un progetto di lavoro volontario, collettivo e comunitario, con utilità sociale. Una minga epistemica è pertanto un lavoro comunitario o collettivo che mira a produrre o preservare conoscenze comuni o di interesse comune: cocreazione della conoscenza per il rafforzamento della resistenza e delle lotte contro la dominazione capitalistica, coloniale, patriarcale. Richiede reciprocità, cooperazione, mutualità e complementarietà.

Ricercatore post abissale: co-costruisce conoscenza per cui c’è una domanda enorme e urgente, ma non commerciabile, perché è utile per i gruppi sociali che non possono immaginare di doverla pagare o non potrebbero permetterselo. Il consulente, invece, porta una conoscenza con un’utilità specifica con un cartellino del prezzo e per la quale esiste una domanda solvibile. Questo approccio rafforza le regole del lavoro intellettuale e la responsabilità politica e accademica del ricercatore: sono diversi modi di studiare che rifiutano di produrre false “oggettività e neutralità”. L’obiettività è salvaguardata dal ricorso alle metodologie proprie delle scienze sociali per ottenere un tipo di conoscenza rigoroso, ma ad essa si associa la consapevolezza di vivere in società estremamente ingiuste, rispetto alle quali il ricercatore militante non può e non vuole essere neutrale: il suo obiettivo è pensare collettivamente, favorendo comunità di pensiero e riunendo intellettuali provenienti da diverse regioni e che lavorano con gli stessi registri e/o con approcci diversi.

Esercizi per disimparare: Il ricercatore postabissale deve mettere in discussione l’egemonia delle epistemologie del Nord nella formazione ricevuta e nelle metodologie acquisite. In primo luogo, perciò, deve problematizzare questi tre presupposti, tipici dell’epistemologia egemonica:

(1) la società è un oggetto, non un soggetto di conoscenza;

(2) per questo motivo, lo scienziato può essere messo in discussione o sfidato solo da altri scienziati;

(3) le metodologie e gli atteggiamenti forniscono le risposte alle domande scientifiche: non deve preoccupare gli addetti ai lavori il fatto che la società non sia scientifica e possa essere quindi interessata a trovare risposte a domande diverse da quelle poste dalla scienza.

Il secondo modo di uscire dalla propria zona di comfort epistemologico è valutare fino a che punto metodologie e atteggiamenti messi in discussione perdono la propria monumentalità e acquisiscono invece umiltà, permettendo al ricercatore di vedere intuitivamente ciò che non gli consentono di vedere analiticamente. Altre metodologie o altri atteggiamenti potrebbero poi indirizzare verso altri tipi di conoscenza e campi di analisi alternativi.

Si crea così lo spazio mentale per altri possibili approcci e atteggiamenti: il terzo esercizio è pertanto esplorare tali nuove possibilità con il punto di vista postabissale sulla società e sulla scienza, orientato alla produzione del sapere-con, coinvolgendo perciò i gruppi sociali con cui lo scienziato sta ricercando.

Il quarto esercizio consiste nel

rivalutare il posto che è fuori posto nelle metodologie e negli atteggiamenti propri della scienza abissale e nel valorizzare i contributi analitici che possono offrire, una volta articolati e sottoposti a orientamenti metodologici postabissali. L’intensità con cui devono essere svolti questi esercizi dipende dalla precedente socializzazione del ricercatore con metodologie/atteggiamenti delle scienze sociali abissali. Dobbiamo tenere a mente che la scienza postabissale è una scienza controcorrente; è ancora un’aspirazione a un paradigma emergente. Gradualmente, da un’identità preesistente di ricercatore abissale, l’identità di ricercatore postabissale emergerà da diversi esercizi di autoriflessività. Un primo esercizio consiste nel prendere in considerazione l’identità sempre precaria di una ricercatrice postabissale: deve sempre tener presente che la relativa autonomia della scienza dipende dal criterio della doppia fiducia (…). Un secondo esercizio mira a neutralizzare la tentazione del trionfalismo intellettuale (…) [, cioè] concludere con troppa facilità che i rischi personali e professionali assunti per svolgere la ricerca postabissale siano stati proficui come dimostrano i risultati della ricerca e che il controllo degli orientamenti metodologici è ormai irreversibile. Questa rassicurante convinzione deve essere sottoposta a un terzo esercizio, l’esercizio del dubbio e dell’inquietudine. Mira a neutralizzare la tentazione dell’eroismo politico (…) [, cioè] credere che, una volta pienamente attuati gli orientamenti metodologici, sia garantito il contributo alla resistenza e al rafforzamento delle lotte contro il dominio. Niente è più fallace. Solidarietà e complicità con la lotta sono atti di volontà per il ricercatore postabissale, ma il loro effettivo contributo al rafforzamento della lotta può essere valutato solo da coloro che effett”ivamente la combattono. (Boaventura de Sousa Santos, “La fine dell’impero cognitivo. L’avvento delle epistemologie del Sud”)

Autorialità: le epistemologie del Sud vanno oltre il modello dell’individualismo autoriale privilegiato dalle epistemologie del Nord, dove il concetto di autore implica originalità, autonomia e creatività. Nelle epistemologie del Sud le conoscenze più rilevanti sono o immemorabili o generate da esperienze sociali di oppressione e lotta, con alla base per lo più nuove o antiche esperienze collettive. Vi sono quindi almeno due tipi di paternità: conoscenze collettive e conoscenze dei superautori. Le conoscenze collettive appartengono a un dato gruppo o comunità, ma ci sono spesso persone che hanno particolare autorità, accuratezza, affidabilità o efficacia, i “saggi“, intermediari tra conoscenza collettiva e gruppo o comunità nel loro insieme. Le conoscenze collettive, infatti, non sono ugualmente percepite e definite da tutti i membri. Vi è inoltre un altro tipo di superautori: i leader dei movimenti e delle lotte, che diventano portavoce privilegiati della conoscenza collettiva ed esercitano un’autorità e un protagonismo speciali in una data comunità.

Tipi di conoscenza artigianale: Il primo tipo è la conoscenza specchio immagina il presente come ratifica del passato e il futuro come presente non ancora accaduto. Costruisce la realtà della lotta privilegiando risposte, certezze e conferme e omogeneizza tempi e spazi. Il secondo tipo è la conoscenza prismatica, che invece presuppone l’incompletezza di ciò che è già noto e costruisce la realtà della lotta come molto varia o sfaccettata, sulla base di novità, rotture, messe in discussione; differenzia tempi e spazi e considera il presente in discontinuità con il passato, che richiede nuovi investimenti cognitivi: dubbi, domande, distanza critica rispetto alla conoscenza specchio.

Esperienza vissuta: importante per definire il quadro delle conoscenze utili alla lotta, è di due tipi. Vi sono quella vissuta in sé, senza la possibilità di non viverla, necessaria e ineluttabile e quella vissuta come sostituzione, ovvero che una persona può lasciare quando lo desidera. I due tipi di esperienza vissuta prevedono o meno la libertà, ma questo non implica l’autenticità solo di quella vissuta senza opzione. Può essere autentica anche un’esperienza vissuta indirettamente, dato un certo livello di impegno o di rischio; se no, è dilettantismo.

Pluriversità: è caratterizzata da degerarchizzazione e convivialità dialogica delle conoscenze, che sono saperi in comproprietà, trasformativi e liberatori. Prevede confronto del nuovo con il nuovo, lotta per la definizione della crisi, accesso democratico, estensione come prestazione di servizi di interesse pubblico per i nonsolventi, ricerca-azione ed ecologia dei saperi, ricollegamento tra università e scuola pubblica, networking Sud-Sud, democratizzazione interna e valutazione partecipativa.

Università polifonica: università impegnata nella trasformazione emancipante, in modo pluralistico, nei contenuti sostanziali e in termini istituzionali e organizzativi. Quindi è composta da molte voci, che si esprimono in modi convenzionali e non convenzionali, in processi di apprendimento orientati o meno a un titolo di studio sia non orientati al diploma. Rivendica la propria specificità istituzionale operando sia all’interno sia all’esterno delle istituzioni che l’hanno caratterizzata fino ad ora. Se ne possono prevedere due tipi. Uno sarà l’interno dei confini degli assetti istituzionali esistenti, profondamente riformati, con l’obiettivo di costruire la pluriversità. L’altro tipo si sviluppa fuori delle istituzioni convenzionali, occupa l’idea di università e ne fa un uso controegemonico, per la sovversione, concetto che indica sia il carattere subalterno dei gruppi sociali coinvolti, sia l’aspetto epistemologico e organizzativo.

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