Rispecchiamento del presunto vincolo di mandato, in realtà espressamente negato per i parlamentari italiani dall’articolo 67 della Costituzione della Repubblica, che conduce a un’espropriazione da parte di alcune formazioni politiche della sovranità popolare e della partecipazione politica dei cittadini.
Gli eletti alla Camera e al Senato vengono infatti considerati rappresentare, anziché la Nazione, i partiti che li hanno candidati in funzione di un programma di governo e i loro elettori diretti, che in questo modo vengono fidelizzati per un’intera legislatura e conseguentemente privati del diritto-dovere di discutere in modo libero, di considerare posizioni dialettiche, di confrontarsi ed – eventualmente – di cambiare orientamento.
Si tratta di una delle conseguenze più pericolose e meno evidenti del dibattito più che ventennale sulla governance in funzione del pensiero unico neoliberista, che è stata bandiera prima di Mario Segni e dell’introduzione del maggioritario, poi del berlusconismo trionfante e successivamente del renzismo sconfitto.
In questo momento questo approccio è appannaggio particolare della democrazia proprietaria del Movimento Cinquestelle, che fonda la propria pratica su una piattaforma politica estrattiva e sul cinismo digitale, e che è stato particolarmente abile a manipolare l’opinione pubblica e la sua indignazione di fronte all’immoralità personale di molti deputati e senatori transfughi.
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