Qualcosa di peggio (del capitalismo)?

Wark propone una riflessione molto ampia e provocatoria:

[Siamo di fronte all’] estrazione di ciò che si potrebbe chiamare informazione in eccesso, dai singoli lavoratori e consumatori, al fine di costruire modelli predittivi che subordinino ulteriormente ogni attività alla stessa economia politica dell’informazione. (…) e se esplorassimo la linea che questo non è capitalismo, ma peggio? (…) questo incontra molta resistenza. Questo te lo posso dire per esperienza, avendo provato a scrivere variazioni su questo testo per quindici anni. Nessuno vuole lasciare la certezza del diavolo che conosce, o pensa di conoscere, per qualcosa che promette di essere peggiore. Quindi la cattiva notizia è: questo non è più capitalismo, è qualcosa di peggio. E la buona notizia è: il capitale non è eterno, e anche se questo modo di produzione è peggiore, non è per sempre. Potrebbero essercene altri. Questa è la lotta oggi. OK, quindi non è una notizia particolarmente buona. Ma c’è anche questo: la fine della malinconia di sinistra, quell’eterna tristezza per l’eterno capitalismo. È interessante notare che poche persone tenteranno persino di pensare che il Capitale sia morto anche come esperimento mentale. C’è davvero qualcosa di fondamentale nel mito che questo sia il capitalismo, come se Capitale fosse il nome di un Dio. Potrebbe persino essere la caratteristica distintiva dell’ideologia oggi. L’ideologia oggi non è l’accettazione di una struttura neoliberista di sentimenti o di abitudini di pensiero e di azione. L’ideologia oggi si aggrappa alla convinzione che questo sia il capitalismo. Pensare che viviamo ancora in un mondo illusorio di realismo capitalista potrebbe concedere troppa realtà alla credenza nel Capitale eterno (…) Ecco (..) un’agenda di ricerca: quali sono le attuali forze di produzione, e come possono essere comprese (in via preliminare) sotto un modesto insieme di concetti? In che modo quelle forze di produzione danno origine alle forme contemporanee di potere di classe, e in che modo quel potere ha a sua volta modellato la particolare forma che quelle forze di produzione hanno assunto? In quali punti le classi subordinate, obbligate a vivere nel mondo, che quelle forze di produzione conformano all’interesse di quella classe dominante, possono essere in grado di affermare la propria agency e autonomia? Quale altro mondo è ancora possibile, visti i danni che questa economia generale ha fatto al mondo, con i mezzi che ha finora sviluppato? (McKenzie Wark,”Capital Is Dead: Is This Something Worse?”- traduzione in proprio)