Un’estate totalmente sprecata. Le scuole stanno per (non) riaprire e un dibattito serio, dialettico e costruttivo non c’è stato, nemmeno in embrione.

Il compiaciuto coro dei sovranisti delle conoscenze e della tradizione ha anzi continuato a giudicare e respingere “il digitale” come un tutto unico; del resto i vari esponenti di questo approccio limitano da sempre le proprie letture ai grotteschi documenti ministeriali e quindi non possono che ignorare le sfaccettature, anche molto differenti e in conflitto tra loro, che invece connotano le didattiche con dispositivi digitali, comprese quelle indotte dal distanziamento di emergenza. Il risultato è la costante e paradossale disapplicazione da parte loro e della loro virale retorica proprio di quel senso critico e di quella capacità dialettica che sostengono essere l’esito certo della cultura accademica occidentale a cui fanno esplicito – anche se, di nuovo, non completamente consapevole – riferimento nel loro progetto di mediazione didattica per l’emancipazione dell’istruzione pubblica.
Il risultato di questa posizione snobistica, è non solo l’impotenza, ma l’alleanza di fatto con i tecnofili acritici, che hanno passato questi mesi a proseguire la propria accumulazione bulimica di accrocchi e di pseudocertificazioni rilasciate da GAFAM et similia, ponendosi come principali diffusori dell’egemonia tecnoliberista, di cui per altro sono stolidi complici anche gli affezionati ripetitori del mantra: “non-conta-lo-strumento-ma-il-modo-in-cui-lo-si-usa“.