Risultato del processo egemonico neo-liberale e – prima ancora – dell’affermarsi indolore della supremazia cognitiva occidentale in nome della razionalità capitalistica, diffonde l’illusione di cui si nutre esso stesso, ovvero che sia possibile analizzare e “risolvere” la realtà a partire dal Pantheon delle discipline istituzionalizzate.
Rinuncia a qualsiasi forma di conflitto di ordine politico e innerva le accademie, il sovranismo delle conoscenze e/delle teorie pedagogiche, lo youtuberismo della sinistra prestazionale.
Tutti questi approcci, infatti, considerano il pensiero critico una risorsa individuale non un’intenzione e un’urgenza collettive.
E pensare che, come afferma Vaccari:
[è invece] tempo di grandi preoccupazioni per il prossimo futuro. Dal mio osservatorio di analista informatica e di tecnologa femminista da molti anni vado dicendo che è la relazione con i dispositivi software che deve cambiare. Le macchine informatiche in quanto tali non sono Google, Facebook o Amazon: dietro quelle macchine ci sono migliaia di programmatori e programmatrici di software che hanno realizzato fisicamente gli algoritmi.
Serve una diversa consapevolezza su usi e realizzazioni pratiche del software. Chi progetta e programma i dispositivi potrebbe essere più sensibile alla teoria critica dei media e alla conoscenza di materie umanistiche. Dalla storia, dalla filosofia e dalle posizioni critiche potrebbero acquisire strumenti per negoziare i nuovi differenziali di potere.