Muraca fornisce una traccia di interpretazione molto chiara e “potente”, che può essere molto utile per ragionare su decolonizzazione, risemantizzazione, emancipazione:
l’analisi della letteratura [in proposito] permette di circoscrivere quattro dimensioni a partire dalle quali leggere il nesso tra movimenti sociali e educazione: i movimenti sociali possono essere compresi come soggetti politico-pedagogici; contesti di apprendimento; laboratori di decolonizzazione del sapere; spazi generativi di teorie pedagogiche (…)
osservare un movimento sociale come un soggetto politico-pedagogico implica domandarsi: quale funzione svolge il movimento in relazione al sistema in cui agisce e alla società con cui interloquisce? A partire da quale posizione simbolica, sulla base di quali istanze e attraverso quali strategie? Quali pratiche adotta per rinegoziare, rinnovare e ricreare l’egemonia? In che modo promuove l’assunzione di un impegno per il cambiamento specialmente in chi vive gli effetti diretti delle ingiustizie? Come favorisce l’acquisizione di una consapevolezza sempre più critica nei suoi componenti?
Gli interrogativi centrali di una prospettiva che consideri il movimento come un contesto educativo invece sono: quali processi di apprendimento formale, non formale e informale vengono attivati nel movimento? Attraverso quali spazi e in quali modalità? Quali apprendimenti simbolici, riflessivi, etici, teorici, linguistici etc. maturano le/i partecipanti? Come si esprime la tensione tra trasformazione soggettiva e trasformazione del mondo, tra realizzazione di sé e realizzazione degli altri? Il rapporto tra dialogicità e asimmetrie è circolante e funzionale alla crescita di ognuno/a? Come vengono messe in discussione e superate le tracce di autoritarismo?
Esplorare il movimento come un laboratorio di decolonizzazione del sapere apre ulteriori questioni: il movimento riconosce i dispositivi di potere coloniali-razziali? Come si posiziona rispetto alle forme che la colonialità assume nelle diverse sfere dell’esistenza? In che modo destruttura la gerarchia epistemica propria della colonialità del sapere, restituendo valore a saperi orali, incarnati, comunitari, locali, popolari? Attraverso quali pratiche supera il silenziamento epistemologico e la negazione ontologica operata dalla geopolitica della conoscenza capitalista-coloniale? Quali alternative costruisce a partire da spazi di marginalità e resistenza?
Infine leggere un movimento sociale come uno spazio generativo di teorie conduce a chiedere: come si configura il rapporto tra azione e riflessione nel movimento? Quali spazi esistono per la ripresa critica dell’esperienza? Su quali invenzioni di pratiche si fonda l’elaborazione del pensiero? Quali processi di teorizzazione attivano le esperienze di autoricerca collettiva o i percorsi di ricerca collaborativa? In che senso il movimento si configura come un contesto di revisione, approfondimento e ricreazione di teorie critiche? (M. Muraca, “Un’etnografia collaborativa con il Movimento di Donne Contadine a Santa Catarina (Brasile)”, Mimesis Edizioni)