Connotata con una crasi tra rosicante e radicale, si tratta di una delle più pericolose forme della affermazione (inconsapevole) della supremazia cogniva occidentale.
Ignorando la questione delle epistemologie del Sud e considerando de-coloniale il proprio “parlare per e di”, il pensiero rosicale si fonda infatti sulla polarizzazione come strumento esplicativo e interpretativo e sul conseguente (pseudo)esercizio del pensiero critico – che per altro considera frutto individuale di percorsi di istruzione e non di posizionamenti intenzionali e di volontà collettiva organizzata – mediante negazione subordinata dell’iniziativa organizzativa e culturale dell’avversario di turno.
Gli slogan “No alle competenze” e “No al digitale [sic!]” costituiscono due tra gli esempi che più spesso attecchiscono nel campo prevalentemente oggetto di questo recinto dogmatico, l’istruzione; concetti e pratiche vengono costantemente assolutizzati e come tali affermati o rigettati in toto, anziché essere sottoposti a più faticose, perché meno certe e rassicuranti, analisi, distinzioni, decostruzioni semantiche e a rovesciamenti emancipatori.
Questi ultimi potrebbero per altro innescare la necessità di uscire dalla propria zona di comfort nel campo della conoscenza, concepita secondo la sua istituzionalizzazione in potere accademico, e di re-imparare.